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Il problema di informare il consumatore e comunicare la scienza

04 luglio 2018

di Alessia Cavaliere

Secondo i dati FAO, nel 2011 la disponibilità teorica mondiale di carne è arrivata a circa 300 milioni di tonnellate annue, di cui il 46% nel solo continente asiatico. L’Europa contribuisce in maniera più limitata con valori del 19%, il Nord America con il 13% (FAOSTAT, 2016).
Il consumo è ovviamente differenziato per specie: il consumo di carne bovina è stato sostanzialmente stabile negli ultimi 20 anni, mentre nello stesso arco temporale, i consumi di carne avicola sono pressoché raddoppiati. Per quanto riguarda la distribuzione per paese, a fronte comunque di un netto incremento a livello globale a cui abbiamo assistito nell’ultimo ventennio, emergono comunque sostanziali differenze. Il consumo apparente più elevato tra i vari continenti è quello che si registra nei Paesi del Nord America. I Paesi asiatici invece, che vantano il primato in termini di volume consumato, a livello pro capite risultano quelli con valore più basso, anche se in crescita netta a partire dalla fine degli anni ’80. Le regioni europee si collocano sotto il Nord America (FAOSTAT, 2016).
Per quanto riguarda l’Italia, uno studio condotto da DOXA per COOP in cui sono state studiate le evoluzioni in ambito alimentare, ha messo in luce un consumo inferiore alla media mondiale di intake di proteine di origine animale, e quindi anche di carne. Secondo questo studio l’Italia risulta il minor consumatore di carne dopo l’India.
Quando si parla di consumi è utile però, fare una distinzione tra consumi reali e consumi apparenti e precisare sempre a quale di questi valori ci si riferisce. Questo perché il consumo reale è pari al 55% di quello apparente, facendo quest’ultimo riferimento solo alla parte edibile dell’animale. Quello apparente, invece, considera il peso dell’intera carcassa, quindi è improprio utilizzare questo come parametro di riferimento quando si parla di consumo di carne. Gli ultimi dati FAO per l’Italia, infatti, stimano un valore di consumo apparente pro capite al giorno di carne e salumi pari a 237 grammi, mentre il consumo reale è pari a circa 96 grammi.
Entrando in dettaglio dei differenti consumi, ad esempio quello bovino, nel 2015 è stato stimato tra i 10 e gli 11 kg pro capite annuali, lontano dal valore apparente su cui si sono sviluppati tutti i ragionamenti di eccesso di consumi, che è pari a 19,2 kg (CENSIS, 2016).
Quali sono le motivazioni che portano un consumatore a consumare meno carne?
Alcune caratteristiche possono essere comuni ad altre scelte di consumo, come ad esempio quelle sensoriali e/o quelle nutrizionali, altre sono proprie del prodotto carne. Infatti, diverse possono essere le ragioni nascoste dietro una riduzione dei consumi di carne, come motivazioni di carattere ambientale, salutistico, etico, o religioso.
Focalizzandoci sulle prime due, spesso si è sentito parlare del legame tra carni rosse e tumori, e tra carne e insostenibilità ambientale. Nello specifico, forti attenzioni sono state rivolte, soprattutto dopo l’articolo pubblicato nel 2015 sul The Lancet, alla presunta correlazione tra il consumo di carne e salumi e alcune patologie tumorali. Nonostante le ipotesi in questo campo siano molte, la relazione tra patologie e consumi moderati non è attualmente dimostrabile e gli studi scientifici portano a conclusioni non definitive, se non quelle di mantenere i consumi entro i livelli suggeriti dai modelli nutrizionali più diffusi.
Per quanto riguarda, invece, l’aspetto ambientale, questo è uno dei temi più recenti che viene affrontato quando si parla di carne e salumi. Anche questo è un aspetto controverso, messo in luce dal lancio della doppia piramide alimentare da parte della Barilla Center for Food and Nutrition. La doppia piramide raffigura, accanto alla tradizionale piramide alimentare costruita distribuendo gli alimenti secondo i principi di una dieta mediterranea, una piramide ambientale che valuta l’impronta ecologica di ciascun alimento, attraverso tre indicatori specifici: Carbon Footprint, Water Footprint ed Ecological Footprint. Si nota come gli alimenti di cui è raccomandato un consumo maggiore da parte dei nutrizionisti sono anche quelli con un minore impatto ambientale. In particolare, carne e salumi sono i prodotti caratterizzati dai maggiori impatti per kg. Occorre però considerare che se si considerano le ridotte porzioni settimanali consigliate dai nutrizionisti, si vede come gli impatti di carne e salumi non siano poi così alti come presupporrebbe l’analisi del dato per kg (BFCN, 2016).
Entrambe le problematiche appena menzionate, sia il presunto problema legato alla salute che quello legato all’ambiente, ai consumatori non sono state comunicate nella giusta maniera, creando allarmismi e inducendo di fatto una riduzione dei consumi di questi prodotti. Va sottolineato, invece, che la carne è ricca di proteine ad alto valore biologico (ricche cioè di amminoacidi essenziali), sali minerali (tra cui potassio, fosforo, ferro, zinco, selenio) e vitamine A, D e del gruppo B, tra cui la B12, fondamentale per la formazione dei globuli rossi e per la buona salute del sistema nervoso. Inoltre, il ferro della carne rossa è più facilmente assimilabile rispetto alle forme presenti nei vegetali e le proteine della carne agevolano anche l’assorbimento del ferro contenuto in altri cibi. Infatti, anche la Dieta Mediterranea, che suggerisce il consumo equilibrato di tutti gli alimenti necessari all’alimentazione salubre delle persone, riconosciuta a novembre del 2010 dall’UNESCO Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità, inserisce nella parte superiore della piramide la carne e i salumi.
Infatti, sicuramente non in quantità eccessive, ma in maniera moderata il consumo di carne è auspicabile. Ecco di seguito alcuni esempi di raccomandazioni da parte di autorevoli fondazioni scientifiche e centri di ricerca: il World Cancer Research Fundation raccomanda non più di 300 grammi a settimana, l’Harvard School of Medicine restringe il limite di consumo di carni rosse a porzioni non superiori a 80 grammi e per un massimo di due volte a settimana, l’International Agency for Research on Cancer ha concluso che il consumo al di sotto dei 500 grammi alla settimana non costituisce un pericolo per la salute (AIRC, 2015).
La carne rappresenta solo un esempio lampante di come un’errata comunicazione abbia convinto i consumatori che la carne in generale e in particolare quella rossa possa rappresentare un pericolo per la salute e per l’ambiente.
Di fronte ad una situazione di questo genere, occorre precisare che le problematiche sono differenti e interessano due diversi ambiti: da un lato, la comunicazione in sé e dall’altro, il consumatore.
Infatti, il problema è duplice: esiste un problema di errata comunicazione che diffonde nella popolazione falsi miti e inutili allarmismi con importanti ripercussioni su alcuni settori, e un problema di individui non abbastanza informati e consapevoli e, quindi, non in grado di discernere le informazioni che gli vengono veicolate.
Essendo queste due problematiche molto diverse, anche in termini di policy, si potrà pensare a due differenti tipologie di intervento.
Da un lato misure volte a controllare la veridicità delle informazioni in modo tale da limitare la diffusione di notizie, false ambigue o che possono facilmente fraintese. Dall’altro lato pensare a delle misure per:
–    sensibilizzare maggiormente il consumatore su una corretta alimentazione,
–    sensibilizzare il consumatore ad un uso più frequente degli strumenti che ha a disposizione per informarsi (come ad esempio etichettatura e tracciabilità),
–    fornire al consumatore finale le basi per effettuare scelte consapevoli,
–    fare in modo che il consumatore finale comprenda facilmente le informazioni fornite sulle etichette.
In questo contesto strumenti come etichettatura e tracciabilità, soprattutto quella volontaria, possono avere un ruolo centrale. Principalmente riducono il livello di asimmetria informativa sul mercato e allo stesso tempo aumentando il livello di knowledge del consumatore possono aiutarlo a fare scelte più informate e consapevoli. Infine, un livello di informazione adeguato nella popolazione può essere di aiuto nella comprensione delle notizie e nella verifica della loro veridicità.

L’articolo è una sintesi della relazione svolta nella giornata di studio “FAKE NEWS, SENSAZIONALISMO E CONSUMO DI PRODOTTI DI ORIGINE ANIMALE. IMPATTI E METODI PER IL RILANCIO DEL SETTORE ZOOTECNICO”, che si è svolta all’Accademia dei Georgofili il 5 aprile 2018.

articolo tratto dal sito http://www.georgofili.info/detail.aspx?id=8907