La carne di cavallo per il suo elevato contenuto proteico e per il basso contenuto in grasso, è facilmente digeribile e ha un ottimo valore nutrizionale. Viene raccomandata negli stati anemici per il suo elevato contenuto in ferro biodisponibile ed è ricco anche in vitamine del complesso B.
In Italia, anche se il consumo medio annuo è intorno a 1 kg. per persona esso è concentrato in poche Regioni ed in particolare Veneto, Puglia, Emilia-Romagna, Sardegna, Sicilia, Lombardia e Piemonte.
In alcuni Paesi europei il cavallo è considerato un animale da lavoro o di affezione e il consumo alimentare umano non è previsto. Tale difformità di comportamenti ha provocato dibattiti anche molto accesi tra i sostenitori del consumo di carne di cavallo e di chi vi si oppone.
Un momento particolarmente critico si è avuto al momento della autorizzazione della utilizzazione dei farmaci per i cavalli.
Essendo gli equini produttori di carne è stato necessario definire dei limiti massimi di residui (MRL) per i farmaci che si intendevano utilizzare ed in particolare per gli infiammatori non steroidei.
Tale necessità è stata contestata da chi ritiene i cavalli soggetti da lavoro e/o da affezione dei “pets” per i quali si possono impiegare farmaci senza dover definire un MRL.
Si è trattato di una discussione di non poco conto perché per definire degli MRL di un farmaco, oltre che affrontare importanti spese, è necessario compiere degli studi in vivo che possono comportare il sacrificio dei cavalli da trattare come animali da laboratorio. Insomma gli aspetti etici ed economici hanno costretto a cercare una soluzione in quei Paesi, come il nostro, in cui esistono cavalli Destinati alla Produzione di Alimenti (DPA) e non DPA.
Nelle terapie degli animali DPA possono essere impiegati soltanto farmaci che hanno un MRL, mentre per i non DPA esiste una maggiore libertà di impiego di farmaci in quanto anche se dovessero restare dei residui nelle carni non ci sarebbero problemi in quanto non vengono consumate.
Anche se il problema “normativo” è stato risolto, sono sorti ostacoli pratici.
Ogni cavallo, praticamente sin dalla nascita, deve essere identificato e registrato come DPA o non DPA. Purtroppo nel nostro Paese non esiste una Anagrafe Unica per i cavalli, ma le competenze in materia sono distribuite quanto meno su due binari: da una parte i DPA e dall’altra i non DPA. Tutto questo va bene fino a quando qualche proprietario di cavalli non DPA decide di privarsi dei suoi animali e tentare di avviarli al macello evitando di rispettare le regole che, tra l’altro, prevedono tempi di attesa molto lunghi; è evidente che l’assenza di una Anagrafe Unica può facilitare irregolarità e frodi.
Il problema diviene molto più complicato ove si consideri che il nostro Paese importa circa il 75 % dei cavalli utilizzati per la produzione di carne. Si tratta di animali che provengono da vari Paesi comunitari ed extracomunitari dove è ancora più complicato risalire all’origine degli animali, ovvero se si tratta di DPA o non DPA.
Basta ricordare quanto avvenuto negli anni scorsi quando una ditta mise in commercio delle carni bovine in cui erano presenti anche carni equine e dello scandalo che ne seguì e che mise in crisi l’intero sistema di controlli comunitari.
La materia è quindi estremamente complessa tanto che il Parlamento Europeo lo scorso mese di marzo ha votato una risoluzione che impegna la Commissione a dipanare la complessa materia tenendo conto degli interessi anche molto discordanti tra animalisti, proprietari di cavalli da affezione, operatori del mercato equino, macellai, consumatori di carne equina.
Nel frattempo sarebbe molto utile se a livello nazionale si mettesse ordine all’Anagrafe Equina organizzandola in un’unica struttura alla quale possono accedere sia i responsabili dei controlli ispettivi sanitari, sia coloro che operano nel mondo ippico amatoriale e sportivo.
Altro aspetto critico è quello dei “passaporti” degli animali che non sono uniformi per tutti i Paesi. Gli Organi di Controllo alle frontiere si trovano a dover interpretare passaporti scritti in diverse lingue e, soprattutto, strutturati secondo le esigenze nazionali che, magari riportano le differenti informazioni in modo non facilmente rintracciabili.
Esistono insomma situazioni di poca chiarezza sia per gli animali allevati in Italia, sia per quelli di importazione. Questo comporta il rischio di illegalità che possono compromettere il benessere degli animali, ma anche macellare cavalli non idonei alla produzione di carne.
Alcune cose, come il sistema di una Anagrafe Unica, possiamo farle direttamente nel nostro Paese. Per altre dobbiamo aspettare misure legislative comunitarie.
L’auspicio è che si metta ordine al più presto sulla filiera di produzione della carne equina rispettando il benessere degli animali e anche gli interessi contrastanti dei consumatori di questa carne e di chi ritiene che i cavalli non debbano diventare un alimento.
Agostino Macrì
Responsabile Sicurezza Alimentare di Unione Nazionale Consumatore
Già Dirigente dell’Istituto Superiore di Sanità
Membro del GdL di Fiesa Confesercenti