Con una nota del Direttore Generale Gianfrancesco Vecchio, in risposta ad un quesito di Fiesa, il Ministero dello Sviluppo Economico ha chiarito diversi aspetti legati alla Legge 4 agosto 2006, n. 248, che istituisce il c.d. consumo su posto dei prodotti di gastronomia negli esercizi di vicinato utilizzando i locali e gli arredi dell’azienda con l’esclusione del servizio assistito di somministrazione e con l’osservanza delle prescrizioni igienico-sanitarie.
Nella nota di risposta il MiSE precisa che sullo stesso argomento è intervenuta anche l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, la quale con la segnalazione S2605 del 2016, nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dall’articolo 21 della Legge n. 287 del 10 ottobre 1990, ha formulato alcune osservazioni in merito alle distorsioni concorrenziali che potrebbero derivare dai pareri della Direzione Generale in materia di consumo sul posto, considerati ingiustificatamente restrittivi (cfr. parere n. 75893 dell’8-5-2013; parere n. 146342 del 19-8-2014; parere n. 86321 del 9-6-2015. L’Autorità della Concorrenza tra l’altro rileva che l’interpretazione adottata dal MiSE incentra l’elemento distintivo tra l’attività di somministrazione di alimenti e bevande e l’attività di vendita sulla modalità di consumo dell’offerta, in termini di attrezzatura utilizzabile per consentire il consumo sul posto, non risultando aderente alle nuove abitudini di consumo e suscettibile di limitare le possibilità di scelta dei consumatori, creando altresì un’indebita discriminazione fra i vari operatori del settore. L’Autorità della Concorrenza poi sottolinea che le risoluzioni ministeriali non tengono conto del fatto che già il D.L. n. 223 del 2006 aveva inteso superare o quantomeno coordinare con i principi di concorrenza tutte le attività di consumo sul posto di alimenti e bevande, individuando il discrimen tra l’attività di somministrazione e quella di vendita da parte degli esercizi di vicinato unicamente nella presenza o meno del servizio assistito, risultando pertanto idonee a favorire l’adozione di regolazioni a livello locale ingiustificatamente restrittive e discriminatorie. Infine l’Autorità della Concorrenza, facendo riferimento anche ad un regolamento comunale che, basandosi sulle predette risoluzioni ministeriali, vieta agli esercizi di vicinato qualsiasi modalità di occupazione del suolo pubblico per il consumo all’aperto, auspica che questo Ministero possa pervenire ad ”un’interpretazione della materia pienamente rispondente ai principi concorrenziali” richiamati.
A fronte di tali rilievi dell’Antitrust e del quesito Fiesa, la Direzione Generale preposta del MiSE, ha chiarito che è suo obiettivo quello di un’interpretazione della normativa vigente “ragionevole e proporzionata”, che non determini inutili ostacoli all’attività delle imprese e sia pro concorrenziale e non discriminatoria, e specificato il proprio orientamento.
Il MiSE ha quindi chiarito che l’art. 3, comma 1, lettera f-bis) del Decreto Legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, nella Legge 4 agosto 2006, n. 248, ha introdotto il principio in base al quale negli esercizi di vicinato, nel solo caso in cui siano legittimati alla vendita dei prodotti appartenenti al settore merceologico alimentare, il consumo sul posto di prodotti di gastronomia non può essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamene previste dalla nuova disposizione, ovvero la presenza di arredi nei locali dell’azienda ad esclusione del servizio assistito di somministrazione.
L’articolo 4, comma 2-bis, dello stesso Decreto consente il consumo sul posto anche ai titolari di impianti di panificazione con le stesse modalità applicative cui devono sottostare i titolari di esercizi di vicinato.
Con riguardo alle modalità applicative delle richiamate disposizioni, la scrivente Direzione Generale si è espressa al punto 8.1 della Circolare esplicativa 3603/C del 28-9-2006, precisando che il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia da parte degli esercizi di vicinato, ovviamente solo nel caso in cui siano legittimati alla vendita dei prodotti alimentari, non può essere vietato o limitato se svolto alle condizioni espressamente previste dalla nuova disposizione; le condizioni concernono la presenza di arredi nei locali dell’azienda e l’esclusione del servizio assistiti di somministrazione. Per quanto riguarda gli arredi ha precisato che i medesimi devono essere correlati all’attività consentita, nel caso di specie è la vendita per asporto dei prodotti alimentari e il consumo sul posto dei prodotti di gastronomia. In ogni caso, però, la norma che consente negli esercizi di vicinato il consumo sul posto non prevede una modalità analoga a quella consentita negli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande di cui alla Legge 25 agosto 1991, n. 287.
Nella nota il MiSE, in riferimento ai suoi precedenti pronunciamenti, ha ritenuto di formulare alcune considerazioni, anche alla luce di quanto segnalato dalla nostra Associazione e dall’Antitrust affermando in via preliminare che i chiarimenti contenuti nelle richiamate risoluzioni ministeriali hanno il senso di offrire un quadro di certezza giuridica almeno alla maggior parte delle attività in questione, ma che tali risoluzioni ministeriali non dovrebbero al contrario essere considerate fonte di divieto aggiuntivo rispetto alle prescrizioni di Legge in questione, non potendo desumersene che ogni diversa ipotesi di svolgimento di tali attività sia automaticamente non consentita, senza alcuna specifica valutazione.
Ad esempio, l’affermazione secondo cui è certamente consentito l’utilizzo di bicchieri e posate in plastica o comunque monouso, non deve essere interpretata come divieto dell’utilizzo di posate in metallo e di bicchieri di vetro o tovaglioli in stoffa, quando sono poste a disposizione della clientela con modalità che non implichino un’attività di somministrazione, quando cioè non si tratti di “apparecchiare” la tavola con le modalità proprie della ristorazione, ma solo di mettere bicchieri, piatti, posate e tovaglioli puliti a disposizione della clientela per un loro uso autonomo e diretto. Il MiSE, a distanza di anni, e dopo ripetute segnalazioni, riconosce che una diversa interpretazione, infatti, sarebbe “certamente sproporzionata rispetto alla necessaria distinzione fra attività di consumo sul posto ed attività di ristorazione in senso stretto, ed in evidente contrasto anche con l’esigenza di un consumo consapevole , ecologico e di qualità con i più elementari principi di tutela dell’ambiente e di riduzione della massa dei rifiuti non riciclabili.”
Fa certamente impressione leggere queste affermazioni dopo anni di diniego e in molti casi di verbali e sanzioni.
Il MiSE poi afferma che, dai riferimenti alle tipologie di arredi sicuramente consentiti all’interno dei locali, non può desumersi che gli stessi arredi non possano essere a determinate condizioni consentite anche su aree pubbliche prospicienti il locale stesso, dove sia alle competenti Autorità locali consentito occupare porzioni di suolo pubblico con panchine, piani di appoggio, ecc.
La Direzione ministeriale competente , in altre parole, afferma che “l’uso del suolo pubblico va valutato dalle autorità locali… non con automatismi collegati alla tipologia di attività (non può essere cioè immotivatamente consentito alle attività di ristorazione e vietato invece a quelle di consumo sul posto).
Il Direttore Generale Dr. Vecchio poi conferma le considerazioni svolte al fine di distinguere le attività di vendita con consumo sul posto rispetto a quelle di somministrazione dal punto di vista degli arredi utilizzati, nella misura in cui tali arredi e le relative modalità di utilizzo consentano consumazioni seduti al tavolo con caratteristiche di richiamo quantitativo della clientela e di permanenza nel luogo di consumo tali da rendere l’impatto delle relative attività del tutto assimilabile all’attività di ristorazione o degli altri pubblici esercizi. Il problema, secondo il MiSE, non è infatti quello di determinare disparità ingiustificate fra esercizi abilitati a praticare il consumo sul posto ed esercizi di somministrazione, bensì quello di non rendere fonte di disparità del tutto ingiustificate i vantaggi di semplificazione nell’acquisizione del titolo autorizzatorio per gli esercizi in cui si pratica il consumo sul posto. In altre parole, dice il Ministero, se entrambe le tipologie di esercizi fossero assoggettati a SCIA ed ai medesimi requisisti igienico sanitari e di sorvegliabilità, la distinzione non avrebbe ragione di essere.
Il Ministero dopo aver ulteriormente argomentato le diverse discipline delle tipologie imprenditoriali, soffermandosi sulle peculiarità di entrambe, esemplifica affermando che “dove non è consentita l’apertura di un ristorante con venti tavoli ed una potenziale numerosa clientela che permanga per lungo tempo in modo più o meno rumoroso nella relativa area di riferimento, non può essere consentita una analoga situazione per il solo fatto che l’esercizio in questione abbia scelto di presentare SCIA come esercizio di vicinato di vendita di prodotti alimentari e senza richiedere specifica autorizzazione, che gli sarebbe stata negata, come pubblico esercizio di somministrazione.” E conclude precisando che le predette “considerazioni valgono a norme vigenti e nelle more di eventuali diverse indicazioni a livello di indirizzo politico, anche in relazione ad un eventuale più approfondito esame della richiamata segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nonché degli effetti del richiamato Decreto Legislativo n. 222 del 2016.”